IL PRATELLO, MODIGLIANA. VENT'ANNI DI TERRITORIO IN PUREZZA

IL PRATELLO, MODIGLIANA. VENT'ANNI DI TERRITORIO IN PUREZZA
L'altra sera, mentre piegavo mollemente i tornanti che insinuano la valle d’Ibola, mi ha pervaso una sensazione di straniamento che mi ha spinto a tacitare lo stereo. Il dialogo mellifluo, tra il flicorno soprano di Chet Baker ed il sax tenore di Stan Getz, era palesemente fuori sincrono sulle quinte della foresta e sulla forza primordiale del suo richiamo. Qui, a due ballate di distanza da Modigliana, l'esuberanza dell'ossigeno ti euforizza e ti spara definizione e profondità delle essenze vegetali e minerali. Insistentemente i vapori dell'asfalto ti ricordano una presenza umana che la vista non riesce a scorgere. Frastornante, continua imperterrito il tappeto sonoro di cicale e grilli, che sfidano con la forza del numero i cinguettii, i gorgheggi e gli ululati degli animali più grossi di loro. Qua e là dalle cicatrici bianche che solcano queste erte emerge la roccia madre, mentre il brilluccichio intermittente dell'arenaria ti focalizza il pensiero sull'esiguità della copertura terrosa. Questo è uno spazio che urla la propria libertà, nella violenza dei gialli delle ginestre e nella bellezza ipnotica dei viola delle orchidee selvatiche. Questo è un luogo che rivendica una vocazione straordinaria alla viticoltura. Di notte, accomiatandoci dal Pratello, mentre le lucciole ci rincorrevano e tutte le costellazioni di questa porzione di mondo ci illuminavano, l'amaro della nostalgia ha velato per un attimo solamente la dolcezza della bocca soddisfatta da tanti vini narranti. Allora per conservare il fuoco di questa esperienza e non adorarne le ceneri, accogliamo il racconto di Giorgio Melandri su questo pomeriggio di assaggi dei venti anni di vendemmie di Emilio Placci. (Lucio Fossati)

Le rondini che volano radenti sui campi di grano ormai giallo oro accompagnano questo viaggio verso il Pratello. Con i voli e con una colonna sonora che resterà nella memoria di una esperienza speciale: oggi apriremo ogni vino prodotto qui, dal sangiovese Badia Raustignolo 1998, il primo imbottigliato, ad oggi. Una degustazione emozionante, un pezzo di storia della Romagna letto insieme ad un gruppo di persone che ha da sempre guardato a questa cantina con la giusta ammirazione.
 
Il viaggio è la prima indispensabile parte di questa esperienza incredibile: la Valle Ibola è verde e selvaggia, di una bellezza che lascia senza parole. Il bosco è di nuovo padrone di quest’angolo di Appennino abbandonato dai contadini nella prima metà del Novecento e oggi aggredisce con una forza esplosiva gli ultimi spazi, i campi di grano o foraggio. Si sale quassù, partendo dal nucleo più storico del paese di Modigliana, percorrendo una strada che viaggia a mezza costa, sempre parallela alla forra di fondo valle. Dieci chilometri mozzafiato per arrivare in alto a 700 metri, a ridosso dei 500 ettari della foresta di Montebello che chiude il viaggio nell’Ibola e custodisce più di un segreto di un ambiente naturale straordinario che regala alle vigne condizioni speciali.
 
L’Ibola è una valle che ha da sempre un carattere difficile, lenta ad aprirsi alla primavera e lentissima ad accogliere l’inverno freddo dei 500 metri di altitudine. I vini lo raccontano bene attraverso le sfumature balsamiche e agrumate, con le speziature e il ritmo di un’acidità coraggiosa e salata. Ma a segnare i vini non c’è solo un microclima fatto di escursioni e durezze, ma anche i suoli poveri di marne e arenarie, mai abbastanza profondi per le radici delle vigne che non vanno oltre a tannini rarefatti e duri. È una identità estrema, inimitabile e meravigliosa, capace di sfidare il tempo come solo pochi territori sanno fare. È anche la storia dei mitici Ronchi di Castelluccio, ancora in grado di stupire dopo 40 anni di bottiglia. Lì siamo in una valle meno difficile, ma la trama dell’identità modiglianese è la stessa.
 
A queste condizioni Emilio Placci ha aggiunto una sensibilità personale straordinaria e un modo di fare vino che non è mai cambiato, indifferente ai venti “toscani” che soffiavano nella Romagna di fine anni Novanta, refrattario a tutta la stagione di surmaturazioni e ricchezze che ha segnato questo territorio dai primi anni 2000 ad oggi. Piuttosto Emilio ha accompagnato questa identità austera ed elegante proteggendone le fragilità, accompagnando l’evoluzione dei vini con lo schermo di una riduzione che qui è diventata uno strumento enologico difficile e importante: pochissimi travasi, le fecce fini a fare da scudo alle ossidazioni, i tempi lunghi che sono sempre serviti ad esprimere i toni complessi di terra, bosco, foglie secche e gesso bagnato. Oggi qui abbiamo ripercorso insieme questa storia, preziosa per Modigliana, ma importante per tutta la Romagna perché sono rare le aziende che possono permettersi una verticale di questa profondità.
Oggi abbiamo condiviso un viaggio bellissimo in una identità fuori dagli schemi, sia per il carattere di Emilio e la sua mano, sia per l’ambiente estremo dell’Ibola.

Trovate qui gli appunti che ho scritto vino per vino e una valutazione personale, ma è importante la riflessione complessiva della capacità della Romagna di esprimere esperienze inedite e originali, di percorrere una sua strada pur nelle diversità territoriali, di aprirsi al mondo senza complessi e produrre fuori da schemi che altre regioni hanno esportato qui.  Sono ripartito la sera in mezzo a un mare di lucciole, con la consapevolezza di avere vissuto un momento solenne che resterà nella storia di questa regione, perché senza condivisione non ci può essere consapevolezza.
 

La verticale. Le Campore
Un vino ottenuto da uve sauvignon blanc e chardonnay, che esprime al meglio il potenziale dei bianchi a Modigliana. Sono soprattutto le marne ad esprimere qualità nei bianchi e si può affermare che trebbiano e sauvignon blanc siano i due cavalli più interessanti per questo territorio alto. Il segreto, come sempre qui, è quello di sapere attendere: la complessità infatti è espressa nel tempo a partire da vini inizialmente algidi e chiusi.
 
Le Campore 2000 ***
La Pietra focaia segna un naso di incredibile freschezza, nitidissimo, senza tracce di ossidazione, addirittura ancora appena fruttato di pesca bianca e melone invernale. In bocca agrumi e freschezza, con un finale salmastro e netto.
 
Le Campore 2001 *
Un naso materico, di miele e frutta candita. Un vino che ha delle dolcezze ossidative e i toni salati di cappero ed elicriso.
 
Le Campore 2002 **
Gesso bagnato, carattere austero. Poi le erbe secche e tea nero Darjeeling. In bocca si viaggia affidati alla guida sicura di una acidità ancora vibrante.
 
Le Campore 2003 ***
I fiori gialli, poi il cedro candito e i richiami al melone giallo. In bocca è affilato e dritto, con l’acidità che si fa strada trascinando una speziatura di ginepro, pepe verde ed elicriso. Il finale è asciutto e ancora duro.
 
Le Campore 2004 **
È un naso largo, che si muove tra i profumi grevi dei polifenoli e il soffio minerale. In bocca è terroso, asciutto, salato. Un vino cangiante, che alterna il carattere algido agli slanci materici e pieni. Eccezionalmente in questa edizione c’è una piccola quota di albana.
 
Le Campore 2005 ***
Pietra focaia, finocchio selvatico, cedro candito, litchi, frutto della passione. Un naso sfaccettato, pieno di sorprese, mai dolce. In bocca è marino, con gli agrumi e le erbe – salvia, pimpinella, mentastro – a regalare carattere a un finale infinito. 
 
Le Campore 2006 
Stanco, si perde tra la bocca asciutta e alcune dolcezze ossidative.
 
Le Campore 2007
Un vino caldo, con le debolezze di un alcool troppo ingombrante.
 
Le Campore 2008 *
Un naso che combina frutti bianchi e erbe amare. In bocca è segnato da un tocco amaro che soffre la mancanza della solita acidità.
 
Le Campore 2010 ***
Agrumato, minerale, verde di erbe balsamiche. C’è un tocco alsaziano qui, una dolcezza contrastata dall’acidità che alimenta la complessità e indugia su richiami canditi e minerali.  Il finale è pieno di energia, netto, con le erbe a riprendersi la scena.
 
Le Campore 2012 ***
Frutti esotici, pompelmo, bergamotto. È un vino che sfida l’annata calda e scatta su ritmo altissimo trascinando la ricchezza della bocca lontano. Il finale è pieno di sorprese – elicriso, ginepro, cedro candito – e chiude su una raffinata nota di gesso bagnato.
 
Le Campore 2013 **
Forza e garbo, acidità e materia. Le Campore 2013 guarda lontano, è solo all’inizio di una strada lunga dove troverà la complessità di erbe e bosco, i toni salati dei grandi bianchi e le sfaccettature speziate di Modigliana.
 
 
La verticale. Mantignano e Badia Raustignolo
Le vigne di sangiovese di Emilio Placci, 2 ettari in tutto, sono state piantate a meta degli anni ’90 e sono di due diversi cloni romagnoli: SG12T e SG19T. Normalmente il Mantignano è stato prodotto con SG12T e il Badia Raustignolo con l’SG19T, almeno fino all’annata 2004. Nel 2004, annata dove il Mantignano fu l’unico sangiovese prodotto da Il Pratello, le due masse furono unite e da allora Emilio Placci assembla i vini mettendo un 20-30% di SG19T nel Mantignano e un 20% di SG12T nel Badia Raustignolo. Fa eccezione il Badia Raustignolo 1998 che fu l’unico vino prodotto in quella prima vendemmia utilizzando tutte le uve di sangiovese prodotte dall’azienda.
I due cloni interpretano il territorio in modo diverso, più tannico, ricco e materico il 19, più fresco, teso ed elegante il 12. Anche l’evoluzione ha un percorso diverso, più fragile il 12, più capace di sviluppare complessità terziaria il 19. Insieme danno il meglio, questo Emilio lo ha compreso negli anni, e la degustazione lo ha confermato in pieno. Resta in comune il carattere dell’Ibola: il naso austero, l’acidità salata, gli agrumi speziati che firmano il finale di bocca, la capacità di aggiungere con gli anni sfumature terrose di bosco, spezie e fiori.
 
Mantignano 2012 *
Le note terrose, poi il tartufo nero e le erbe secche. In bocca è sottile e teso. Molto mediterraneo nei profumi, caldo e solare; vibrante nell’acidità.
 
Mantignano 2011 **
Un naso complesso, tra le note minerali di gesso bagnato e un frutto delicatissimo e leggero. In bocca entra minerale e asciutto e si distende sull’acidità con molta grazia, una grazia floreale che rende questo vino davvero originale.
 
Badia Raustignolo 2011 ***
L’eleganza di questo badia 2011 è straordinaria: fiori, terra bagnata, mentastro. Poi i toni speziati di agrumi e tea nero Darjeeling. In bocca è delicato, con tannini dolci e il carattere dell’acidità. Un vino austero ed elegantissimo.
 
Mantignano   2009 ***
Profondo, austero, un paesaggio di bosco, gessi e arenarie. Sono infiniti i dettagli e il naso li nasconde e li mostra, sempre in combinazioni diverse, sempre tra spezie e un frutto vellutato.  In bocca è asciutto, affilato e agrumato. I tannini hanno le dolcezze, ma l’acidità le stempera nella corsa. Il finale è un altro repertorio, tra elicriso e scorza di arance amare.
 
Badia Raustignolo 2009 *
Un vino scuro nei toni, ricco, appena liso. I fiori, poi le erbe e un finale di dolcezze poco contrastate.
 
Mantignano 2008 **
Dritto, scarno, composto, essenziale. Un vino che si esprime su pochi toni, elegantissimo. In bocca apre alle spezie e agli agrumi, con un verde balsamico che firma la chiusura. Un racconto di poche parole e molte emozioni.
 
Badia Raustignolo 2008 *
Un vino che ha qualche stanchezza, un richiamo canforato e timidissime note di elicriso e mentastro. In bocca è animato da una bella acidità e dalla sapidità.
 
Mantignano 2007 *
L’annata calda si traduce in una fatica avvertita. È infatti un vino che non scappa, che resta sul sale ad attendere un finale di agrumi e note balsamiche.
 
Badia Raustignolo 2007 ***
Foglie secche, bosco, erbe verdi, tea nero Darjeeling, scorza di mandarino. Un naso complessivamente caldo, ma ricco e nitido. La bocca alza il ritmo, si apre a un carattere ancora più mediterraneo e chiude sull’austerità dei delicatissimi toni agrumati. Il meglio di una estate calda che ha arroventato l’Ibola.   
 
Mantignano 2004 ***
Un vino eccezionale, forse il miglior sangiovese mai prodotto in Romagna. Mantignano 2004 è figlio di una maturazione lentissima e di uve che sono state addirittura vendemmiate ai primi di novembre. Tutto il sangiovese aziendale è stato usato per questo vino e il Badia Raustignolo non è stato prodotto. Il naso è un campione di stile: austero, affumicato, composto. Arrivano con l’aria i dettagli di scorza di pompelmo e fiori, di pietra bagnata e bosco. In bocca è dritto, con tannini maturi e la nota verde ormai completamente sulle spezie e sul richiamo balsamico. In questo vino c’è il paesaggio e tutta l'atmosfera autunnale di odori e colori. I voli sfuggenti, i tappeti di foglie color ruggine, i ricci per terra nei castagneti, l’odore terroso delle vigne che si preparano all'inverno.  
 
Mantignano 2003 *
Un vino che paga l’annata calda con delle stanchezze e una bocca troppo semplice. Non regge il confronto con il repertorio classico del Mantignano.
 
Badia Raustignolo 2003 **
Un vino con il fiato animale e le spezie, tea nero Darjeeling su tutto. È probabilmente già oltre la sua plenitude, ma ancora difende con i denti i dettagli scuri di un finale originale.
 
Mantignano 2002 *
Come nel 2004 tutte le uve aziendali sono state usate per questo vino. Il Mantignano 2002 è scarno, agrumato, speziato. Patchouli, gesso bagnato, foglie secche. L’annata, per chi non lo ricorda, fu piovosa e fredda e il Mantignano la racconta bene come dovrebbe fare un vino artigiano.
 
Mantignano 2001 ***
Un vino maturo, pieno di dettagli, ancora irruento in certi passaggi. In bocca è vibrante, con gli agrumi a contrastare una balsamicità ormai al massimo. La 2001 è stata un’annata eccezionale e la freschezza di questo vino ha permesso una evoluzione che è già da qualche anno impressionante per la ricchezza e la complessità.
 
Badia Raustignolo 2001 ***
Un vino che corre, una fuga nel bosco dell’Ibola. In bocca è verticale, salato, pieno.  L’eleganza è la sua cifra e le tante sfumature espresse tra naso e bocca sono una ricchezza discreta e mai ostentata. Un fuoriclasse.
 
Mantignano 2000 *
Un vino che ha il fascino di una dignitosa decadenza, tra bosco e scorza d’arancio, tra le note terziarie di cuoio e le note verdi di anice e mandarino. Spezie, molta eleganza, una certa diffusa nostalgia.
 
Badia Raustignolo 2000 ***
Incredibile come questo vino ancora riesca a parlare di frutto, agrumi, spezie. È pieno, con i dettagli di fiori ed erbe balsamiche – salvia, elicriso, alloro – a sorprendere in bocca. Finale pieno di forza, ancora spezie, ancora agrumi.
 
Badia Raustignolo 1998 ***
I due cloni insieme per la prima vendemmia de Il Pratello. Un vino che non finisce mai, tra paesaggio e racconto, tra i profumi ancora rivolti al frutto e le note complesse figlie dei venti anni di bottiglia. L’annata fu fredda, ma ha regalato ai vini una longevità e una compiutezza che ha pochi paragoni anche in termini di grazia ed eleganza. Foglie secche, terra, bosco autunnale. E la chiusura agrumata tipica della valle dell’Ibola che contrasta un finale salso e scuro.